04 novembre 2025
1. Storia dell’Ecologia e degli Ecologisti. Precursori antichissimi: medici, poeti, scienziati, filosofi, utopisti.
1. STORIA DELL’ECOLOGIA E DEGLI ECOLOGISTI. GLI UTOPISTI DELLA NATURA
Ora che tutti parlano di loro, gli ambientalisti si domandano: «Chi eravamo? Da dove veniamo?». Ecco la prima cronistoria
Perfino gli anarchici, beati loro, hanno Bakunin, un maturo signore che possiamo immaginare con una prestigiosa barba bianca. E i verdi? Possibile che siano nati ieri, che non possano vantare uno straccio di antenato carismatico, almeno un nonno precursore che abbia combattuto qualche battaglia ecologica sulle sponde della Beresina, meglio se già inquinata da sali di cromo e mercurio, e con moria di lucci evidente?
No, per fortuna di naturalisti,
conservazionisti, zoofili, naturisti, agrobiologi, naturopati, igienisti, vegetariani,
anticonsumisti, energologi, nudisti, e di chissà quanti altri gruppi, il
ramificatissimo albero verde è dotato di radici profonde. E che radici! Basta
considerare che tra i primi «ecologisti» ante litteram possiamo contare anche
Platone, Catone, Lucrezio [De Rerum Natura, ovvero la sostanza e forma delle cose], Columella, visto che esortavano già allora Greci e
Romani a «tornare alla natura», a vivere e a nutrirsi in modo più parco, e
perfino a non tagliarsi né boschi né barbe.
E Ippocrate? È il padre di
quella medicina scientifica (basta con gli Dei causa di tutto) naturale che è giunta fino a noi. Senza contare i grandi naturalisti,
da Plinio a Dioscoride. Del resto, l'inquinamento idrico, atmosferico e
acustico in Roma, Atene e Alessandria d'Egitto era spesso oggetto di denunce,
scioperi e sollevazioni popolari. I cittadini romani, per non essere arrotati
mentre camminavano negli stretti vicoli, imposero addirittura il divieto di
transito nelle ore diurne e nei giorni festivi per i grossi carri. Ma poi
crearono comitati di agitazione perché durante la notte non riuscivano a
chiudere occhio a causa del traffico. Gruppuscoli verdi protestavano tra le
Piramidi e nel Ponto, sempre per motivi ambientali.
Curiosa, anche per quei
tempi, la reazione dei «fondamentalisti» verdi dell'epoca ellenistica al
dilagante consumismo: la setta estremista degli Adamiti se ne andava in giro in
perenne nudità, ostentando provocatoriamente povertà e umiltà, sostenendosi
con un pugno di erbe selvatiche, come più tardi gli Stiliti. Attenzione a
questo strano elemento della nudità: lo ritroveremo molto spesso, lungo tutta
la storia del movimento. Dall'Oriente si era già diffusa la moda esoterica di
disprezzare il lusso. Nelle antiche scritture dei Veda, seguite in Oriente
dalla maggior parte del popolo, il rispetto per gli animali e il vegetarismo sono
i mezzi naturali per elevarsi spiritualmente fino alla divinità. Soprattutto i
nobili e i sacerdoti indù non mangiavano carne, proprio come in Occidente insegnava
Pitagora.
Da noi, però, c'erano già degli stravaganti hippies naturisti per le strade. La figura del vegetariano seguace di Brahma, nudo perché spregiava l'uso dei vestiti (dimostrando che era possibile vivere di niente) era popolare in Grecia e a Roma fin dal IV secolo a.C. La gente li chiamava «gimnosofisti». Così ricorda Calano, un gimnosofista che segue Alessandro Magno in Asia.
Che dietologi alla Città del Sole!
Troppo lontano nel tempo? E
va bene, accenneremo allora alla grande crisi ecologica dell'anno 1000 e alla
massiccia distruzione di foreste in Europa, a causa dell'urbanesimo e della
costruzione di navi, e al rifiuto dell'antropocentrismo dominante, che considerava
l'uomo il signore assoluto della natura, da parte del monaco Francesco di
Assisi, verso il 1200; lo stesso che, come i bonzi zoofili del Buddismo e del
Giainismo, arriva a chiamare «fratelli» gli animali, le piante, l'acqua, la
terra. Saltando a pie' pari le preoccupazioni ecologiche del Rinascimento,
risolte d'autorità da prìncipi e dogi (gli acquitrini della Padania trasformati
nelle prime risaie dagli Sforza di Milano e dal duca di Ferrara; le barene
protette allestite dal governo di Venezia in Laguna) e i molti pruriti
botanici ed erboristici dell'intellighenzia alto-ambientalista, arriviamo al
'600 e cominciamo ad intravedere i primi veri trisavoli degli attuali
ecologisti.
Londra sul finire del '600 è
già maleodorante e inquinata dal fumo di carbone e dai liquami di fogna a
cielo aperto. Che propone John Evelyn, segretario della Royal Society? Va da
re Carlo II e lo invita a circondare Londra con una cintura di piante verdi e
odorose, per purificare l'aria e ricostituire il patrimonio forestale che in
Inghilterra è ormai distrutto. Non se ne fece nulla, per l'opposizione degli
scienziati «utilitaristi» che, semplicemente, non credevano all'inquinamento.
L'aria, la terra e l'acqua - dicevano - sono beni illimitati. Pochi anni prima,
nell'utopistica Città del Sole immaginata da Tommaso Campanella (1623), la
vita della città ideale si svolgeva con ritmi e sensibilità da comunità della
California negli anni '60.
«Essi mangiano carne, butiri, mele, cascio, dattili, erbe diverse, e prima non voleva uccidere gli animali, parendo crudeltà. Ma poi vedendo che era crudeltà ammazzar l'erbe, che han senso, onde bisognava morire, consideraro che le cose ignobili son fatte per le nobili, e magnano ogni cosa. Non però uccidono volentieri !'animali fruttuosi, come bovi e cavalli. Hanno però distinti li cibi utili dalli disutili, e secondo la medicina si servono; una fiata magnano carne, una pesce et una erbe, e poi tornano ala carne per circolo, per non gravare né estenuare la natura...»
Una ciminiera che sparge fumo per tutta la valle fa pronunciare parole di fuoco sugli effetti dell'industrialismo al giovane Jean-Jacques Rousseau, il primo «teorico» del naturismo moderno. «Promeneur solitaire», escursionista e grande innamorato della natura, inventore del mito del «buon selvaggio», Rousseau affida alla spontaneità e alla libertà l'educazione dei giovani (Emile, 1762). Vivere nella natura e secondo le leggi naturali, questo è il dovere dell'uomo libero. L'idea che la natura sia qualcosa di finito e che quindi vada amministrata con saggezza, non sfruttata illimitatamente, trova le sue basi scientifiche nelle ricerche del naturalista Charles Darwin, padre dell'evoluzionismo, e nei suoi continuatori (Thomas Huxley, ecc). L'Origine della specie (1859) mostra 1'interrelazione esistente tra uomo, piante, animali e ambiente, tanto che nel 1866 il biologo tedesco E. Haeckel può inventare il termine «ecologia» (da oikos, casa, e logos, scienza) come quella branca della storia naturale che si occupa dell'habitat. Malthus (1859) dimostra che gli uomini si moltiplicano in scala geometrica, mentre le risorse alimentari si moltiplicano soltanto in scala aritmetica: di qui la "struggle for !ife", la lotta per la vita darwiniana.
Quella capanna nel bosco di
Walden
L'industrialismo, la civiltà delle macchine, la fede cieca e ingenua nel continuo accrescimento produttivo sono ora all'apice. Le reazioni non tardano a farsi sentire. I lavoratori minacciati dalla concorrenza delle macchine si rivoltano a Nottingham, dal 1811 al 1816, ripetendo le gesta di Ned Lud che nel 1779 aveva infranto un telaio che lo condannava alla disoccupazione («luddismo»). Ma oltre a quelli corporativi ci sono altri interessi: la gente protesta per l'ambiente disumano e la qualità pessima della vita. Dalla fine dell'800 al primo decennio del '900, in Europa e in America, cresce l'opposizione popolare contro l'urbanesimo, l'aggressività della civiltà metropolitana, la vita innaturale e insalubre, gli eccessi della meccanica e della chimica, l'inquinamento, le fabbriche in genere, il lusso, la distruzione della natura. In questo clima di rivolta morale e di rifondazione («riforma») della vita si delinea a poco a poco, sulla falsariga degli insegnamenti dei saggi dell'Antichità mai dimenticati, una vera e propria nuova filosofia pratica, una sorta di movimento di liberazione dall'Innaturale e dall'Artificiale: il Naturismo.
Come definire il Naturismo?
Il Dizionario Enciclopedico Italiano, molto riduttivamente, lo presenta così:
«Movimento formatosi fra la fine dei sec.19° e il principio del 20° come reazione
agli eccessi della civiltà meccanica e urbanistica: esso tende a un ritorno dell'uomo
alle sorgenti naturali di vita semplice e schietta, attraverso un tipo di
alimentazione prevalentemente vegetale, l'immediato contatto con la natura, la
semplificazione del vestiario fino alla sua totale soppressione». Insomma, un
ritorno catartico ad uno stato quasi primordiale, ad una vita secondo cicli ed
equilibri naturali, alla semplicità, al lavoro manuale a misura d'uomo,
all'autosufficienza, ai cibi e alle medicine offerti dalla natura. Agli occhi
dei cittadini integrati era un vivere «da selvaggi», se non «da animali». E
proprio «selvaggi» vollero essere chiamati questi ribelli capaci di
abbandonare gli agi d'una residenza borghese per costruirsi capanne di tronchi
nei boschi. Viene in mente l'epiteto di «cinici» dato ai filosofi greci che
vivevano «come cani» (kin).
Il più famoso dei naturisti
dell'800 fu il romantico vagabondo Henry David Thoreau, intellettuale e naturalista
americano (1817-1862) che non adorava nessun Dio tranne la Natura. Si costruì
una capanna sulle rive del lago Walden, vicino Concord (Massachusetts), e lì
visse dal '45 al '47 scrivendo una sorta di autobiografia morale. Nel 1849
teorizza la «disobbedienza civile» non violenta contro uno Stato «ingiusto e
violento». Al suo esempio si ispirò un secolo dopo il Mahatma Gandhi, anch'egli
vegetariano, che con la Ahimsha (non violenza) e la Satiahgraha (insistenza per
la verità) si adoperò per far recuparare agli Indiani non solo l'indipendenza
ma anche il giusto rapporto con la natura e l'igiene naturale, tanto da
scrivere veri e propri manuali di alimentazione sana. Anche lo scrittore Leone
Tolstoi, verso il 1885 diventa zoofilo e non violento, seguito dal medico
filantropo Albert Schweitzer (Nobel per la pace 1952) e dal drammaturgo George
Bernard Shaw, vissuto da igienista fino a 94 anni nonostante il parere dei suoi
medici.
Nel frattempo in Europa si assiste alla rinascita del corpo e alla riscoperta del salutismo naturista. I dottori Kock, Zimmermann e Pudor, Hoppener e Ungewitter, Diefenbach, Suren e Seitz, tutti nati verso il 1850-1870, teorizzano e diffondono la nudità del corpo come condizione naturale detl'uomo, benefica e liberatoria. Il primo club nudista pubblico sarà inaugurato nel parco di Klingberg (Germania) nel 1903. Nascono a decine, ovunque, associazioni di «appassionati della luce e del sole» (Lichtbund), in cui uomini donne e bambini recuperano la corporeità primigenia nella natura libera. Solo l'avvento del nazismo riuscirà a far tacere i naturisti. Prima della dittatura si contavano in Germania oltre 100 mila terapeuti naturisti, che curavano con l'acqua, il sole, l'aria, il cibo, le erbe, ecc. Arnold Rikli, mitteleuropeo mezzo italiano (visse a Trieste), divenne un terapeuta naturista di successo con il suo sanatorio elioterapico di Veldes (1865). Priessnitz e l'abate Kneipp, curavano con l'acqua, dando origine a una riscoperta dell'antica idroterapia che dura tuttora.
NICO VALERIO (continua)
2. Storia dell’Ecologia e degli Ecologisti. La Natura nella società di massa: i club, i movimenti, la politica.
MOVIMENTO ECOLOGICO, SOCIETA’ E POLITICA
IL “SOLE CHE RIDE” E LA COSCIENZA ECOLOGICA
La necessità di difendere il nostro pianeta diventa una consapevolezza radicata in tutte le nazioniNico ValerioScienza Duemila, novembre 1988
30 settembre 2019
CO2 cibo per le piante non inquinante, alza così poco le temperature? Alcuni scienziati: no all’allarmismo.

Le enormi emissioni di CO2 che abbiamo avuto negli ultimi decenni sono state collegate più o meno correttamente a fenomeni macroscopici come El Nino, tornado, inondazioni, eruzioni di vulcani, scioglimento di ghiacciai (nonostante che eventi simili si siano già verificati in passato secondo cicli pluri-millenari); a cui si sono aggiunte attività umane grandi produttrici di CO2 o metano, come incremento del traffico aereo, sviluppo industriale vorticoso e senza regole in Asia, allevamenti animali intensivi ecc.
Ma, allora, se l’aumento di CO2 in pieno “effetto serra” è davvero la causa dominante del riscaldamento globale, che a sua volta sembra favorirlo, come mai – si chiede il largo pubblico e perfino più d’uno scienziato – tali eventi disastrosi hanno avuto modeste conseguenze sul piano statistico generale, cioè un aumento della temperatura media della Terra di “appena” 0,8°C dal 1850 a oggi, ben poco se lo paragoniamo all’innalzamento della CO2? Se lo chiede con noi anche New Ice Age.
Dopo tutto quello che è successo, che altro deve accadere o dobbiamo fare perché davvero si verifichi il Riscaldamento globale più temuto dagli statistici? La Terra trova forse il modo di compensare e riequilibrare? Ci sono “ritardi” secolari o millenari?
Insomma, la teoria che la CO2 sia strettamente e immediatamente collegata all’aumento della temperatura media sulla Terra e che in tema di anomalie climatiche e riscaldamento globale ci aspettino eventi ancora più drammatici di quelli disastrosi già verificatisi, sembra fare acqua da tutte le parti, probabilmente perché non tiene conto della marcata ciclicità millenaria di tali eventi (v. grafico degli ultimi 11 mila anni, qui accanto) e di concause naturali, cioè astronomiche (anomalie dell’insolazione terrestre, dicono gli astronomi), e rischia perciò di assumere quasi il carattere di una “verità” religiosa.
In realtà è vero che la curva della CO2 non è in fase temporale con quella della temperatura, come si legge in un sito Usa di divulgazione scientifica critica. Quando la Terra esce da un periodo glaciale ed entra in uno interglaciale, com’è il nostro caso, il riscaldamento non è provocato dalla CO2, ma da fenomeni tipicamente astronomici, come i cambiamenti dell’orbita terrestre. Questi periodi interglaciali si verificano ogni 100 mila anni, e il meccanismo di rotazione della Terra e il Sole stesso vi hanno una grande importanza.
Una petizione sul “Riscaldamento Globale Antropico”, non solo di principi generali ma insolitamente argomentata con dettagli scientifici, è stata indirizzata alle Autorità della Repubblica da circa 90 scienziati italiani il 4 giugno 2019, proprio alla vigilia del discorso della giovane Greta Thumberg all’ONU:
Più nota a livello internazionale la “Dichiarazione europea sul clima” di 500 scienziati interessati al clima appartenenti a tredici Paesi d'Europa e a vari Paesi extra-europei compresi Usa e Russia, una eccentrica è stata indirizzata al segretario generale dell’Onu contro l’allarmismo climatico e le conseguenze sia scientifiche, sia economiche che potrebbe avere tale drammatizzazione, non suffragata – sostengono gli scienziati – da vere prove scientifiche.
Meno argomentata, più sintetica e quindi di tono più tranchant rispetto a quella italiana dei 90, anche questa dichiarazione contesta l'allarmismo sul riscaldamento globale ("Non c'è emergenza climatica"), facendo notare che di fronte al forte aumento della CO2 (che non può essere considerato un inquinante essendo alla base della vita sulla Terra e addirittura nutrimento per le piante, a tal punto da favorire lo sviluppo delle foreste), provocato non solo da fattori antropici ma anche naturali, si è avuto nella realtà un aumento di temperatura media nettamente inferiore alle aspettative e agli allarmi. Segno evidente che il collegamento tra CO2 e temperatura non è né così diretto né così immediato come si vuol far credere. La politica climatica, insomma, si basa modelli inadeguati
I due appelli, come si vede, contraddicono la stragrande maggioranza degli Enti, degli studi e degli scienziati specialisti di tutto il Mondo, il che avrà pure la sua importanza, e in particolare l’ICPP, l’ente che pur non conducendo ricerche autonome si è dato il compito di rappresentare una sorta di Consensus internazionale attraverso la selezione degli studi in materia.
Però, non possiamo negare che la discussione possa lasciare il campo scientifico e approdare a quello economico e sociale. Con modelli matematici ancora così imperfetti, le drastiche misure terapeutiche proposte possono essere “crudeli” e danneggiare gravemente l’economia mondiale già toccata da squilibri e crisi, a cominciare dai Paesi più poveri, se questi dovessero rispettarle, oppure interessare soltanto il Nord-America e ancor più i Paesi Europei, finora dimostratisi i più sensibili al problema.
Anche con queste preoccupazioni accessorie presentiamo entrambi i documenti, che contrastano con la stragrande maggioranza degli studiosi, per completezza d’informazione e in una corretta dialettica ecologica e liberale che fa ricorso come metodo allo strumento del dubbio. I punti poco chiari o non dimostrati sono diversi, come abbiamo visto sopra per il collegamento CO2-temperature. Il pericolo, in una informazione vistosamente carente o unidirezionale, è sempre il conformistico “pensiero unico”. Infatti, se è vero che “la scienza è scienza”, è altrettanto vero che ipotesi di lavoro, proiezioni e modelli matematici sono opzioni umane soggette a ogni limite, dalle valutazioni metodologiche ai condizionamenti culturali e politici.
AGGIORNATO IL 6 OTTOBRE 2019
20 gennaio 2018
Rifiuti in città. Oltre ai soliti vizi, ora anche i nuovi gruppi politici incapaci e accecati dagli slogans.
La crisi dei rifiuti e l’incombente bolla dei trasporti urbani della Capitale, pongono più in generale la questione del pubblico che fa impresa. Mestiere difficile, perché le finalità generali sono diverse da quelle private, ma non impossibile, se i manager sono capaci e gli amministratori distinguono il legittimo indirizzo politico dal ruolo operativo. L’efficienza, però, non va d’accordo con le pregiudiziali ideologiche e con interessi elettorali e di potere dei partiti, anche di quelli appena arrivati. Un’azienda enorme come l’Atac di Roma è già all’ultima spiaggia, anche se non può fallire e dovrà essere commissariata, ma continua a chiudersi nell’elegante dimensione detta «in house».
Potrebbe cercare una (difficile) soluzione di mercato, ma è sgradita a politica e sindacati che fanno resistenza, perché richiederebbe cure da cavallo, pur inevitabili. Meglio i debiti. Contro l’ingresso di un socio privato, magari anche le Ferrovie, da Milano-Casaleggio è arrivato il veto. In questo caso la scelta politica è contro la democrazia diretta: pur di non indire il referendum radicale sulla privatizzazione, si sta rinnovando il contratto con Atac. Meglio gestire migliaia di dipendenti, il 25% dei quali dichiara di essere disabile, e rassegnarsi ad un terzo dei bus che non esce in strada, e se esce si rompe.
Il caso Brescia è – all’opposto – quello di rifiuti che rendono nel tempo miliardi, e trasporti urbani che possono essere aiutati in sinergia. Grazie ad una scelta politica a favore del termovalorizzatore più premiato del mondo, il Comune ha chiuso bilanci d’oro, ha diminuito la Tari, ha riscaldato mezza città con la monnezza non differenziabile e si è persino regalato una metropolitana: un cerchio che si chiude virtuosamente. Scelta politica, dicevamo, diversa da quella di Roma che, pur avendo finalmente sepolto la più grande discarica d’Europa, non vuole termovalorizzatori, e deve baloccarsi con 4.700 tonnellate al giorno di immondizia, 1,7 milioni anno, e contemporaneamente rischia di essere travolta dai debiti miliardari di un’azienda trasporti che deve coprire un’area grande come due province lombarde. L’effetto domino è devastante: cittadini che aspettano eternamente il bus, in mezzo ai rifiuti.
Quello che si prepara è insomma un disastro finale su entrambi i fronti, che l’attuale amministrazione ha aggravato, sommando rotazione continua del management e guida politica eterodiretta. Senza una visione complessiva dei servizi pubblici, è certo che i trasporti – in una città tanto grande – sono un problema che ammazzerebbe anche il miglior privato, perché il business è davvero diabolico, dipendendo da sovvenzioni e biglietti, che gli utenti evadono in percentuali paurose. I rifiuti, invece, costituirebbero un ciclo virtuoso e persino potenzialmente lucroso se si capisse che tutto, anche l’ultimo rifiuto, può essere valorizzato. Ma non va così, e i proclami sui rifiuti zero (opzione respinta in tutta Europa) e la differenziata promessa al 70% (è oggi sempre al 40% di Marino) sono utopie spostate nel tempo.
E allora? Campo libero al turismo della monnezza, cercando qualcuno che a caro prezzo se la prenda, possibilmente non Regioni a guida Pd o Pizzarotti di Parma cacciato via anche per questo. Su 1,7 milioni di tonnellate l’anno, circa il 52%, in assoluto 884 mila tonnellate, devono viaggiare: vicino (Lazio) e lontano (57 mila in Austria), per non parlare delle 146 mila di organico che vanno in Friuli. In sostanza, questo non voler termovalorizzare in casa (solo 60 mila tonnellate nell’inceneritore Acea di proprietà), regala vantaggi economici altrui, riempiendo ferrovie ed autostrade (qualche volta anche navi che fanno il percorso inverso dei migranti) di inquinamento itinerante. Un termovalorizzatore da 300 mila tonnellate costerebbe 300 milioni, ma si spendono ogni anno 200 milioni (su un totale Tari di 670), di cui 63 di trasporto, per piazzare l’immondizia altrove.E l’inquinamento? Si fa in fretta a parlare di termovalorizzatori, ma l’inquinamento? Ebbene tutti e 47 gli impianti esistenti in Italia producono 5 milioni di tonnellate all’anno di CO2. Meno di quanto produce il solo girovagare monnezzaro della Capitale, che già convive – ogni mattina tra le 7,30 e le 8,30 – con la produzione di 7 milioni di tonnellate di CO2 del milione di automobili in circolazione a Roma in un’ora di punta… Ma quelli fanno bene alla salute. (BEPPE FACCHETTI)
IMMAGINI. 1. Scalinata di Trinità dei Monti a piazza di Spagna dopo una importante partita di calcio (foto Messaggero). 2. Maiali che grufolano tra i rifiuti nella periferia di Roma. 3. Via della Conciliazione (S.Pietro) dopo uno dei tanti eventi del Vaticano. 4. Rifiuti e perfino deiezioni umane dietro le auto nel parcheggio della stazione Cipro della Metropolitana romana (foto N.Valerio 2017).
03 dicembre 2017
Ma escludendo le eruzioni vulcaniche, « i satelliti non mostrano accelerazione nel riscaldamento globale ».
Ben noto negli ambienti dei climatologi americani come
scienziato riduzionista, se non negazionista dell’influenza dell’uomo sul
progressivo riscaldamento globale dell’atmosfera (“Global Warming”), John
Christy ha presentato un’elaborazione scientifica realizzata col collega
Richard McNider, entrambi dell’Università dell’Alabama a Huntsville, che rivede l’intero fenomeno del riscaldamento globale causato dall'effetto serra. Lo studio è stato finanziato
dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, che corrisponde a un nostro
Ministero governativo. La tesi principale – se abbiamo capito bene dall’articolo (bisognerebbe leggere lo studio originale, finora introvabile) è che i dati recenti sarebbero stati falsati specialmente dalle eruzioni vulcaniche generando una tendenza patologica. Ma, ci assicurano coloro che seguono da anni il dibattito sui dati climatici negli Stati Uniti, Christy avrebbe riproposto un suo vecchio e abituale cavallo di battaglia polemico. Crediamo di fare cosa utile riportando l’intero articolo (*). Per i più esperti, tecnici o i veri appassionati riportiamo anche un lungo articolo (**), ben illustrato da grafici, di Pat Michaels e Chip Knappenberger (“Climate models versus climate reality” sul sito specializzato Climate etc. (NV)
RIFERIMENTI
* http://dailycaller.com/2017/11/29/study-satellites-show-no-acceleration-in-global-warming-for-23-years/?utm_source=site-share
** https://judithcurry.com/2015/12/17/climate-models-versus-climate-reality/
10 aprile 2017
Origini dell’ambientalismo: il genio Peccei, il Club di Roma e i “Limiti dello sviluppo”, anzi, della crescita.
Grande intellettuale globale, economista e industriale, grande uomo dai mille interessi, generoso utopista col rovello della povertà e delle classi più svantaggiate, strenuo difensore delle libertà e nemico delle dittature, tra i più importanti ma misconosciuti protagonisti della società nell'Italia contemporanea, il geniale Aurelio Peccei il 7 aprile del 1968 fondava nella romana Accademia dei Lincei il Club di Roma, un gruppo di 100 scienziati che si dette il compito di avvertire le classi dirigenti mondiali (Governi, industriali, politici e la pubblica opinione più illuminata e responsabile) d’una verità troppo a lungo celata: la Terra è in crisi. Troppo piccola e dall'equilibrio ecologico, demografico ed economico troppo delicato per continuare a sopportare gli eccessi sia di popolazione (Asia, Africa, Sud America), sia di inquinamento, di consumismo e di sovra-produzione a cui ottusamente continua ad essere sottoposta dall’Uomo.Non erano quelli i “Limiti dello sviluppo”, come poi è rimasto nel titolo errato della Relazione nella traduzione italiana, perché lo sviluppo sempre procede con lo spirito degli Uomini e con gli eventi della Storia, ma solo della "crescita" (“The Limits to Growth” era il titolo originale).
Per la prima volta uno studio dettagliato e scientifico (anche se un po' rielaborato nelle conclusioni, per aumentare il salutare effetto shock sui Governi, come ammise anni dopo lo stesso Peccei), in modo organizzato e fornendo le prove scientifiche, metteva a disposizione dell’opinione pubblica il quadro completo della compatibilità delle azioni umane con lo “stato di salute della Terra”.
Il Rapporto fece epoca, fu tradotto nelle principali lingue e fu diffuso in tutto il Mondo. In estrema sintesi e con parole nostre, ecco lo scenario che rappresentava una ipotetica diagnosi, che poi gli eventi si incaricarono di confermare in gran parte, accompagnato da un’ipotetica reazione correttrice (o terapia) possibile:
13 aprile 2016
Referendum anti-trivelle: solo col “Sì” niente più scandalosi regali ai petrolieri, e coste più protette.
MOTIVI OSCURI, TESTI POCO CHIARI, INFORMAZIONE SCARSA. In realtà dell’intera questione gli Italiani sanno poco o nulla, oppure hanno un’idea confusa, distorta, falsificata o parziale. Come mai? C’è la tradizionale ostilità dei politici italiani all’istituto del referendum, comprensibile in uno Stato liberale fondato sul Parlamentarismo e la democrazia rappresentativa. E questo è giusto e sano. Invece non è giusto ricorrere al mezzuccio – caro ai Borbone o al Papa Re – di mantenere nell’ignoranza i cittadini per condizionarli (p.es. con un’informazione carente o distorta in televisione): è cosa per niente liberale. Fatto sta che questo è di per sé un referendum equivoco, poco chiaro non solo nelle complicate clausole concessorie e industriali, ma perfino nei suoi aspetti ecologici; insomma poco incisivo.
Un referendum equivoco in sé, perché il testo della legge da abrogare è stato scritto malissimo, e – diciamolo – non per garantire le numerose libertà dei cittadini in materia (ambiente pulito, salute, concorrenza economica ecc.), ma solo per fare favori ai petrolieri, anzi ai “petro-gasieri” (perché, in cambio di che cosa?), tanto da non rendere evidenti ma discutibili le conseguenze stesse dell’abrogazione di alcune parole (oggetto, appunto, del referendum). Dopodiché, la confusione in materia tra tesi contrapposte, parziali o mistificatorie di propagandisti, lobbisti, giornalisti, economisti, tecnici e cittadini profani è il logico corollario della scarsa chiarezza normativa, ecologica ed economica sulla questione. Perciò, non c’è da meravigliarsi se i quesiti del referendum sono stati propagandati in modo settario e fazioso da tutti: fautori del Sì, del No e dell’astensione.
IL “NO” NASCOSTO NELL’ASTENSIONE. Quest’ultima, poi, è un’altra forma di No, giuridicamente del tutto legittima in quanto implicitamente prevista dai nostri grandi Padri Costituenti, ma – diciamolo – la più scorretta dal punto di vista dell’etica civica (come ha voluto dire il presidente della Corte Costituzionale, Parolo Grossi), anche perché - aggiungiamo noi - i fautori del No che opportunisticamente non si recano a votare traggono un vantaggio indebito dalla regola del quorum (il richiesto limite minimo di votanti: metà degli elettori più uno) e nel computo finale s’ingrandiscono oltre i propri meriti, confondendo il loro voto col più vasto numero di cittadini passivi, pigri, stanchi o nemici della Politica, che non vanno mai a votare (e in Italia sono almeno il 40% degli elettori), trovandosi così paradossalmente ad aver manifestato comunque un “voto”, anzi a essere determinanti senza aver fatto nulla. Sarà lecito, ma non è giusto politicamente né civicamente. Per questi motivi il quorum, a nostro parere, deve essere abolito, specialmente oggi quando sempre meno cittadini si recano a votare, accampando i più diversi motivi, l’ultimo dei quali è l’opposizione al quesito referendario. Di questo passo, visto che ormai pochi si recano a votare – qualunque sia l’elezione – nessun referendum potrà mai più esser valido. Dovrebbe bastare, come in Svizzera o negli Stati Uniti che il Sì riporti anche un solo voto in più del No, o viceversa.
REGIONI CONTRO STATO. Per di più il referendum è stato indetto con la scusa dell’ecologia, ma in realtà soprattutto per motivi politici e amministrativi. Va letto come un tentativo di rivincita anti-storica, una rivolta delle Regioni – sbagliata, sbagliatissima – contro lo Stato, per riavere competenze esclusive, come l’ambiente, che gli vengono sottratte, e conquistare magari competenze su energia e altro ancora. L’unico vantaggio del No, anzi, sarebbe proprio questo: una sacrosanta e ben meritata batosta per le Regioni richiedenti, che hanno rialzato la cresta contro lo Stato e vorrebbero riavere tutti i loro vecchi privilegi con cui hanno male amministrato e dilapidato ricchezza, e che insieme con tante altre locali “incompetenze” esclusive hanno causato all’Italia molti danni economici, tanto clientelismo mafioso e tanta corruzione. Infatti, proprio per dare una lezione alle Regioni, solo per questo, c’è chi ha deciso di votare No: scelta rispettabile, se il problema fosse solo questo. Ma non possiamo fare come il marito sciocco che per punire la moglie decide di evirarsi. Lo specifico energetico-ambientale, anche se in questo referendum non sembra prevalente rispetto ai favori sfacciati ai “petrolieri”, ha pur sempre la sua importanza per noi ecologisti, e deve giustamente prevalere nella valutazione prima del voto, indipendentemente da chi lo ha proposto.
SBAGLIATO NON VOTARE. Allora non dovremmo andare a votare? E no, perché così otterremmo l’effetto paradosso di far vincere abusivamente delle due tesi, quella peggiore: il No. Perché sarebbe la scelta peggiore? Perché vanificherebbe i vantaggi notevoli apportati da una vittoria del Sì.
I RISULTATI DELLA VITTORIA DEL SI’.
2. Ambiente. Non vuol dire che le estrazioni entro le 12 miglia cesseranno subito, ma entro un arco di alcuni anni, e perfino potranno esserci nuove proroghe, ma precedute da nuove valutazioni di impatto ambientale (come fa notare in un articolo, con altri particolari interessanti, l'ex giudice Gianfranco Amendola). Quel che è certo, è che l’allontanamento, permetterà di ridurre i rischi di inquinamento e paesaggistici, di controllare meglio e prevenire eventuali danni ambientali causati dagli apparati di estrazione, che se più vicini alle coste, intensamente abitate e interessate anche al turismo e alla pesca, potrebbero avere conseguenze più nefaste.
3. Libertà della politica tariffaria e maggiori introiti per lo Stato. La collettività, e per essa lo Stato, avrebbe il vantaggio sicuro di riappropriarsi della libertà contrattuale, cioè di non privarsi in futuro dell’arma della gestione intelligente dei rinnovi di concessione dell'estrazioni di idrocarburi – quando sarà il momento opportuno – in cambio di congrue royalties, a seconda dei prezzi di mercato.
4. Cessazione del rinnovo automatico sine die. Darebbe lo stimolo alle società concessionarie spingendole a estrarre tutto il petrolio o gas possibile fino alla scadenza della concessione. Ma aumentando le estrazioni oltre la soglia massima della franchigia esente da royalties, dovrebbero finalmente pagare le royalties che oggi non pagano allo Stato (v. oltre).
Nessun altro scopo o conseguenza è previsto. Il Sì al Referendum non vuol dire eliminazione di piattaforme, né licenziamento di operai e tecnici. Vuol dire solo ridurre in modo notevole i danni ambientali ed economici per lo Stato. Neanche un danno per l'energia del Paese si verifica. Infatti lo Stato italiano - a differenza di altri Stati - con la concessione cede la proprietà del petrolio o gas estratto ai concessionari privati - spesso società straniere - che ne possono fare quello che vogliono, e spesso lo esportano. Quindi, non è vero che tutto il gas e il petrolio estratto resta in Italia. Altre conseguenze e altri aspetti del problema sono descritti in modo molto chiaro in un articolo di Quale Energia
SCANDALOSI AIUTI DI STATO AI PETROLIERI: TARIFFE BASSISSIME O NULLE. Questo è lo scandalo maggiore dell’intera faccenda. Le royalties, calcolate in percentuali del valore di mercato del prodotto estratto, sono quote che le ditte concessionarie pagano in cambio del diritto di sfruttamento al concedente, il proprietario del suolo o dell’area marina (lo Stato, cioè idealmente tutti noi cittadini pro quota). Ma a parte che chi tiene il conto degli idrocarburi realmente estratti ogni anno, in tonnellate o metri cubici, sono le stesse aziende concessionarie, e quindi il concedente Stato deve fidarsi, queste royalties che all’estero non sono quasi mai inferiori al 30%, in Italia sono bassissime, un vero regalo ai petrolieri: 7% per l’estrazione di gas e petrolio a terra, 4% per l’estrazione di petrolio in mare. A queste royalties ridicole per fortuna si aggiunge un 3% per il fondo per la riduzione del prezzo dei prodotti petroliferi, se la risorsa è estratta sulla terraferma, o per la sicurezza e l’ambiente se estratti in mare (come si legge sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico). Da tutte le royalties pagate dalle aziende che operano in Italia, lo Stato ricavo la miseria di 300 milioni circa all'anno.
Restrizioni ambientali molto più severe impongono gli altri Paesi d'Europa, come riferisce un articolo del Fatto. La Norvegia p.es., pur avendo il clima che ha, coste rocciose e quasi disabitate, impone alle piattaforme una distanza di almeno 50 chilometri dalla costa, altro che meno di 12 miglia come fa l'Italia che pure ha coste abitatissime e piene di bagnanti! Mediamente più alte le royalties negli altri Paesi rispetto all'Italia. La tassazione totale in Norvegia arriva in media al 78%, secondo uno studio di Nomisma-Energia, utile per chi vuole approfondire tutta la materia (ci sono molte tabelle). E' consultabile in originale qui.
Intanto, data la gravità del prolungato danno erariale, il leader dei Verdi, Angelo Bonelli ha inviato un esposto alla Corte dei Conti in cui calcola in circa 800 milioni di euro il regalo che il Governo fa ai petrolieri. Del resto, il rifiuto immotivato (anzi, falsamente motivato con un divieto di legge) di Renzi di accorpare il Referendum alle Elezioni amministrative (election day) è costato ai cittadini italiani circa 300 milioni di euro.
Ma, ripetiamo, più grave ancora delle spese ottuse per impedire l'election day e limitare l'afflusso alle urne dei cittadini, è il regalo enorme che il Governo, impegnando lo Stato italiano, fa ogni anno, ai già ricchissimi petrolieri, che già godono di sovrapprofitti fuori mercato dovuti ad accordi di cartello già in passato sotto la lente del Garante per la Concorrenza, alla lentezza estrema con cui adeguano il prezzo al pubblico della benzina rispetto ai costi decrescenti del petrolio greggio (e all’improvvisa rapidità quando avviene i costi salgono), in un ben noto meccanismo perverso e vischioso che è sempre a favore del produttore e mai del cittadino acquirente. Altro insulto all’uguaglianza liberale, cioè dialettica, delle posizioni di domanda (cittadini acquirenti) e offerta (cittadini produttori-venditori) di cui scriveva spesso il grande Einaudi.
Ma non è finita: il grave deve ancora venire. Infatti, queste percentuali di royalties già così scandalosamente basse, sono irragionevolmente azzerate da una soglia minima o franchigia, come riporta il sito del Ministero. Le società concessionarie, infatti, evidentemente viste dai politicanti che fanno le leggi e dai funzionari dello Stato poco meno che come “eroi” o “santi francescani”, i soli a lavorare in Italia, anzi gli unici che si sacrificano per il Bene di tutti e si addossano inenarrabili sacrifici al posto di una viziata e fannullona collettività, e che quindi occorre premiare, non pagano nulla allo Stato italiano fino alla bellezza di 50.000 tonnellate di petrolio estratto o 80 milioni di metri cubici di gas naturale in mare ogni anno (20.000 ton o 25 milioni di mc a terra). In totale lo Stato regala ogni anno alle aziende oltre 3 milioni di tonnellate di petrolio (e regali analoghi per il gas).
E poiché l’interesse dei titolari delle concessioni è quello di pagare meno royalty possibile, la proroga della durata delle concessioni fino all’esaurimento dei giacimenti graziosamente concessa dal Governo ai poveri “petro-gasieri” equivale a dire loro: «estraete meno che potete e non versate nemmeno un euro di royalty, tanto avete tutto il tempo che volete per sfruttare il giacimento», come giustamente fa notare il sito economico Cetri-tires.
Capito il regalo? Ecco il motivo del grande interesse dei “petro-gasieri” e del Governo “amico” al rinnovo senza limiti di tempo, ad libitum, delle concessioni, per di più quasi gratuito. Ora la domanda vera che deve porsi il cittadino, tanto più se liberale e-o ecologista, è: come mai questa liberalità inusuale all’estero nei Paesi avanzati? Che cosa c’è dietro? E in cambio di che cosa?
SE VINCONO I NO? Questa inquietante zona d’ombra, questa distorsione del mercato e della concorrenza, quest’uso spregiudicalo e di favore della politica delle tariffe agli “amici” e agli “amici degli amici”, queste anomalie gravi che danneggiano sia la libertà d’intrapresa, sia l’economia stessa e l’ambiente, resteranno tali, anzi faranno più danni di prima, se vincono i No e l’astensionismo col rinnovo automatico delle concessioni fino alle calende greche.
MISTIFICAZIONI E BUGIE. Per il resto ci sono molte idee sbagliate e mistificazioni. Non è un referendum che in caso di vittoria del Sì “metterebbe in ginocchio” la produzione e quindi i consumi energetici in Italia. Perché il referendum interesserà in modo diretto solo 17 concessioni da cui si estrae appena il 2,1 % dei consumi nazionali di gas e lo 0,8 % dei consumi nazionali di petrolio gas (Cetri-Tires cit.). Quindi, ammesso anche, e non concesso, che dovessero venire a mancare da un giorno all’altro, come sostengono i signori del No per propaganda (ma non è così), non succederebbe nulla di grave e il leggero calo di estrazioni sarebbe perfettamente compatibile con i normali alti e bassi dei consumi energetici, magari favorendo un minimo di risparmio energetico e di comportamenti virtuosi (Cetri-Tires)
Poi questo referendum non è un “referendum sul petrolio”, come pure ci piacerebbe (e come vanno dicendo per illudere i cittadini ignoranti alcuni propagandisti del Sì). L’ENI, ente italiano interessato alle estrazioni, ha diffuso dati secondo cui la produzione marina (il totale estratto offshore) sarebbe per il 93% di gas naturale liquido e solo per il 7% di petrolio. Ma allora, se questi dati sono veri, perché i fautori del No fanno balenare in caso di vittoria del Sì un maggior traffico di petroliere, travasi e rischi di maggiore inquinamento? Che c’entra il petrolio, se loro stessi dicono che si tratta quasi solo di gas naturale? Dove stanno le bugie, nei dati statistici aggregati o nella minaccia dell’andirivieni di petroliere? Insomma, propaganda basata su esagerazioni oppure dati addomesticati?
E nonostante il negativo impatto ambientale e paesaggistico, e gli indiscutibili danni all’ecosistema marino delle piattaforme in sé e dell’attività estrattiva, non c’è dubbio che il gas naturale sia oggi considerato una delle fonti di energia più pulite, che non inquina né l’acqua né il suolo, non provoca nella fase di combustione polveri sottili PM 10 o PM2,5, ma soltanto minime quantità di anidride carbonica CO2, ossidi di azoto Nox e trascurabili quantità di anidride solforosa SO2
Lasciare dove e come stanno le piattaforme, senza minimamente toccarle almeno con tariffe adeguate, non è affatto una “grande possibilità” energetica per l’Italia, come dice la propaganda dei petrolieri. Anzi, con il basso prezzo del petrolio, la scarsa qualità di quello italiano, le esigue rendite per lo Stato, e gli altissimi costi paesaggistici e ambientali delle piattaforme, estrarre non conviene più, almeno in questi anni.
E invece, no, non è vero niente. I siti che appaiono sulla mappa dell’Adriatico croato non sono funzionanti. L’americana Marathon Oil e la OMV, dopo aver ottenuto nel gennaio 2015 la maggior parte delle concessioni, hanno rinunciato nell’estate. Ma poiché l’opinione pubblica in Croazia, e non solo sulla costa, è contraria, e ci sono state manifestazioni di protesta nella popolazione, in ottobre il Governo croato ha sospeso la firma degli altri accordi, per riparlarne dopo le elezioni. Il nuovo Capo di Governo, Orešković, fin dal discorso inaugurale ha annunciato una moratoria alle concessioni petrolifere marine, che perciò non sono state ancora sottoscritte e sono sospese a tempo indeterminato, come riporta il sito Gli Stati Generali, che pubblica anche la mappa contestata..
Anche la Francia si è sfilata in modo ancor più aperto e deciso dalle inutili, antieconomiche e pericolose trivellazioni nel Mediterraneo. La ministra per l’ambiente, Royale, ha deciso una “moratoria immediata” sui permessi di ricerca degli idrocarburi che prelude all’abbandono delle ricerche di combustibili fossili dal terreno o dal mare. Anzi, riporta in un articolo La Stampa, farà di più: chiederà «l’estensione di questa moratoria all’insieme del Mediterraneo, nel quadro della convenzione di Barcellona sulla protezione dell’ambiente marino e del litorale mediterraneo». Quindi, altro che Italia: tutta l’Europa sarà chiamata a sospendere le trivellazioni. E sostegno migliore alle ragioni del Sì non si poteva avere, superando le beghe provinciali dei politicanti italiani.
CLUB ECOLOGISTI ED ESPERTI. Dal canto loro, la totalità degli ecologisti italiani e quasi tutte le associazioni del settore, dal WWF a Legambiente, compresa la moderata FAI, hanno invitato a votare Sì. Anche gran parte dei Radicali d’impronta liberal-ecologista, seguendo le analisi, sottili e non banali, dell’esperto Michele Governatori, è per un Sì “critico” e con riserve (quelle che abbiamo riferito sopra), ma pur sempre un Sì. Perché dire di sì a questo referendum nato male, gestito male e fatto conoscere poco e male, è pur sempre il “male minore”, rispetto al “No” o all’astensione, per i quali tutto resterà come prima. Bisogna accontentarsi.
LE DIECI DOMANDE IRONICHE D’UN LIBERALE. Una sintesi efficace e implacabile delle ragioni del Sì, sotto forma di questionario ironico, è quella del liberale Vittorio Vivona su Facebook:
«Al Referendum io non mi asterrò e voterò Sì, essenzialmente per le ragioni che qui espongo sotto forma di domanda.
1. Cosa ci fa questa norma mimetizzata tra i 999 commi dell'art.1 della legge di stabilità?
2. Che c'azzecca con la legge di stabilità (attenzione, non il "milleproroghe") ?
3. Da quando una concessione ha come termine il venir meno dell'utilità per il privato?
4. Perchè allora non "prorogare" le concessioni balneari finchè il mare non si è mangiato la spiaggia ?
5. Perchè continuare a chiamarla concessione e non usufrutto vitalizio ?
6. Perchè le royalties al 10% (quelle ufficiali) sono le più basse al mondo (dal 25% della Guinea allo 80% della Norvegia?
7. Perchè nella concessione non sono indicate latitudine e longitudine, ma la concessione è "unica" e valevole per più trivellazioni?
8. Perchè al di sotto delle 50 mila tonnellate scatta la franchigia e le società non pagano nulla, ma rivendono petrolio e gas al prezzo pieno di mercato?
9. Costa di più smantellare le piattaforme o farle funzionare in eterno estraendo sotto la soglia della franchigia?
10. Perchè il PD che ha confezionato e votato la norma oggetto del referendum, non ha il coraggio di sostenerla pubblicamente? Personalmente, anche senza ricorrere ai profili di tutela ambientale (peraltro da me pienamente condivisi) ce ne è abbastanza per convincersi che la norma oggetto del referendum altro non è che un "grazie" alle compagnie petrolifere. Il pasticcio è stato fatto ed è stato scoperto; sostenere il No al referendum significa dichiarasi apertamente collusi con quanti traggono un cospicuo vantaggio da una simile porcata. Idem per l'astensione (peraltro legittima, ma non è questo il problema) ».
AGGIORNATO IL 20 APRILE 2016







